Concept
Quando pochi giorni fa pensai che niente avviene per caso e che c'è una specie di filo di ricerca personale che è sempre esistito, da subito, che mi si allunga davanti ogni giorno, la risposta di una persona al mio pensiero fu una parola insolita: ‘’sognalista’’.
Ci sono incontri che non avvengono per caso. Ma non tutti siamo uguali e io faccio parte di quella schiera, di quell’esercito dei temporali, che al caso non crede e ha gli occhi e le mani impegnati in un’appassionata e precisa ricerca. Un anno fa ero in un’aula di università e si parlava di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Spuntò fuori un tipo strano che ci fece alzare tutti in piedi e, nella maniera più dissacrante del mondo, iniziò a farci cantare e ballare. Poi parlò di tante cose, che ora non ricordo più con precisione (se mi innamoro dimentico le cose importanti… e mi restano attaccati solo i particolari dei suoni dei ricordi), parlò di una scuola in una favela di San Paolo dove non c’erano classi o pareti a dividere gli ‘educandi’. E di un progetto chiamato Viracao (http://www.viracao.org/index.html), retto in piedi dalla sfida insolita di mettere insieme le parole educazione e comunicazione.
Quando davanti ai miei occhi si scuote un qualsiasi contesto accademico e si alzano ‘’le sottane delle suore’’, sono sempre felice perché mi sembra di tornare bambina e allora protendo l’orecchio per farmi dire sottovoce ‘’Si può fare!’’.
Dicevo che niente avviene per caso. Ieri dovevo metter giù le prime parole che raccontassero l’inizio di una mia certa esperienza, che fra poco meno di un mese mi porterà in Brasile a conoscere le persone di Viracao. Avevo cominciato dal nome del progetto, sapendo che non era qualcosa di preciso o definitivo, che avrebbe cambiato forma e anche suono nel tempo e che – appunto – aveva a che fare con il ponderabile e il soggettivo. Poi, con tutta un’altra certezza incrollabile, ho scelto l’immagine da allegare, ‘’Notturno delle tre’’, che dicesse di condivisioni e di un legame (http://claudiobadii.altervista.org/). Come un musicista che si mette a improvvisare trasportato dalle sue immagini interne, mi ero messa davanti a uno schermo bianco a scrivere. Se non ricordo male avevo detto che l’inizio di qualcosa non è mai facile, specie se si tratta di mettere insieme le parole che diano vita ai propri pensieri. Quando sono arrivata alla fine e era arrivato il momento di ‘editare’, mi sono accorta che avevo perduto tutto! Non ero riuscita a pubblicare alcun post… erano rimasti solo il titolo di questo progetto e l’immagine allegata.
Niente, proprio niente avviene per caso. Nemmeno le sfortunate enevienze.
Poi ho letto altro, mi sono distratta, ma senza alcuna casualità che mi guidasse nella ricerca. E sono finita, in tarda sera, nello scritto di qualcuno che si era messo a dire qualcosa come ‘’Quando uno scrive miete campi di girasoli e papaveri. Non è simbolismo, è che ci vuole un gran cuore… anche quando ci troviamo – dopo - nella solitudine fatta di silenzio delle linee spezzettate e te che leggi’’.
Niente avviene per caso, nemmeno il fatto di aver inconsapevolmente perduto il post che avevo messo giù con tutto il cuore di ieri mattina. Avevo parlato forse di ciò che realmente mi fa innamorare del linguaggio che sta sotto ogni tipo di comunicazione e di rapporto tra un educando e un educatore. Avevo scritto forse di quel linguaggio che è puro movimento attraverso linee curve di tempo, che ci rende esseri umani in ogni parte del mondo. Avevo detto forse – ma non ricordo più – che la differenza tra una lingua e l’altra sta nel fatto che in un posto del mondo potrebbero esistere innumerevoli parole per dire ‘’amore’’ o per dire ‘’neve’’. Ma cos’è che genera questa differenza? Ha origine – credo – nel sorriso di ognuno di noi quando siamo sottoposti a variazioni di gradazione di luce che passa da una finestra e si posa sul pavimento di una stanza.
Il cielo di ieri somigliava a quello di oggi, ma le parole di ieri avevano l’odore del caffè, la temperatura del ghiaccio e lo straziante ricordo della morbidezza della sciarpa al collo di una persona a cui ho dato un addio. Anche oggi c’è il ‘’cielo da neve’’, ma l’odore è quello di letto e di una notte senza sonno, disorientata nel tentativo di recuperare le mie parole per dar voce e vita alle parole di qualcun altro.
Penso e lo pensavo anche ieri che magari dovessi non deludere le aspettative di chi sarebbe poi venuto a leggere questo ‘inizio di progetto’. Ma c’è una cosa di cui non posso più fare a meno: l’onestà di chiamarmi con il mio nome. E allora se di identità si può parlare, mi presento – per la seconda volta, ma che in fondo è la prima – con l’amore per un certo linguaggio, per il rapporto interumano da cui esso origina, la curiosità per le ricerche appassionate in ogni parte del mondo in cui esse possano nascere e svilupparsi, e la volontà che fa muovere i miei piedi anche quando mi sento sola, ma mai perduta. Un’appassionata e molto rigida ricerca… che porta dietro con sé l’instancabilità e la dedizione delle api operaie.
La ricerca che ora sta protesa in avanti come una freccia, parte dal recupero dei primi anni di vita. E se le nascite non sono riuscite al meglio, ciò su cui farò le mie ricerche saranno le prossime nascite… in attesa come tutti di farne una nuova e migliore.
Brasile, un’immagine che profuma dei miei primi otto anni. Bambina, mi hanno insegnato a sognare… poi crescendo ho forse sospettato che i miei migliori insegnanti mi chiedessero di dimenticare quanto avessi (purtroppo) imparato.
Sono di nuovo una bambina. E mi stanno prendendo per mano.
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